Google Ads costa troppo? La risposta di 7 esperti

Nell'expert roundup di oggi parliamo di misurare i costi della pubblicità su Google. Ecco l'opinione degli esperti!

Google Ads costa troppo?

Tabella dei contenuti

Quando si parla di Google Ads, il servizio di pubblicità online di Google conosciuto anche col vecchio nome AdWords, sento sempre più spesso questa obiezione:

“eh, però Google Ads costa troppo!”

 

Sicuramente la pubblicità rende bene a Google:
Statistic: Google's ad revenue from 2001 to 2018 (in billion U.S. dollars) | Statista

Guarda il grafico qui sopra, stiamo parlando di più di 116 miliardi di dollari americani nel 2018!!

È vero anche che sempre più grosse aziende allocano budget stratosferici per presidiare spazio sulla fatidica prima pagina di Google: quella che guardano tutti.

Qui ad Amsterdam, ad esempio, c’è la sede del famoso portale di prenotazioni Booking.com e la leggenda vuole che ci sia un intero ufficio dedicato ad ‘aggiustare’ costantemente i prezzi della pubblicità su Google Ads in un braccio di ferro digitale con la concorrenza.

Agoda sta pagando €0,88 al click per “hotel a Roma”? E allora Booking alza a €0,89.

Ma per l’imprenditore digitale o la piccola impresa che decide di investire in pubblicità per raggiungere nuovi clienti, è corretta questa percezione del ‘costare troppo’?

Ho voluto interpellare 7 esperti di Google Ads, che con la loro esperienza ci aiutano a capire come mai questa percezione è diffusa, sfatare i miti legati a Google Ads e comprendere come si possa sfruttare al meglio questo canale.

Prima di lasciare a loro la parola, ti dico che noi di WP-OK usiamo da anni proprio Google Ads come uno dei canali di acquisizione di nuovi clienti.
Inizialmente ammetto di aver fatto l’errore di gestire io le campagne.
Dico che è stato un errore per due motivi che ho compreso solo dopo:

  1. Non riuscivo mai ad avere un quadro preciso sul ritorno degli investimenti, perchè il tracciamento delle conversioni non era impostato correttamente (non dal punto di vista tecnico, ma proprio concettuale)
  2. Non conoscendo la piattaforma, non ero mai sicuro di fare la cosa giusta e di usare al meglio questo canale.

Il risultato è che per diversi mesi non capivo se le campagne stavano funzionando o meno.

Praticamente spendevo soldi senza sapere che fine facevano 🙁

Una sensazione bruttissima!

Affidare la gestione ad un professionista è stata una scelta felice che mi ha permesso di tornare a dormire tranquillo sapendo che le campagne stanno performando sempre al meglio.

La nostra strategia ora include anche una campagna SEO (abbiamo da poco lanciato il servizio SEO-OK), affiancando a campagne a pagamento anche posizionamento organico con l’obiettivo nel tempo di ridurre i costi legati alla pubblicità.

Perchè non abbiamo investito subito in SEO?

Personalmente ho trovato che Google Ads permette di avere risultati immediati, quindi lo trovo un ottimo canale per testare una idea o servizio. Ma dopo la fase di validazione iniziale, iniziare il lungo lavoro di posizionamento SEO permette di investire nel futuro e potenzialmente scalare di più.

Ecco, ora davvero lascio parlare gli esperti 🙂

A ognuno di loro abbiamo fatto la stessa domanda:

“Perché tante persone quando si parla di trovare clienti con Google Ads dicono che costa troppo?”

 

Valerio Celletti

Google Ads specialist @ Loop Srlvalerio@loopsrl.agency

Valerio Celletti

Si tratta di un vero e proprio pregiudizio a mio avviso.

Lavorando spessissimo su account esistenti mi trovo spesso a fare audit o rebuild su campagne mal concepite o mal costruite.

Nel caso delle campagne su rete di ricerca [cioè gli annunci che compaiono nei risultati delle ricerche Google], ad esempio, i problemi più comuni sono legati alla scelta delle parole chiave (keyword), che portano traffico di scarsa qualità e quindi poco o affatto incline a convertire.

Per esempio una parola chiave sbagliata, dal mio punto di vista, potrebbe essere una parola chiave eccessivamente e inutilmente generica (es. “scarpe” a fronte di “scarpe decolletè nere” (generica, ma “puntuale”) o “adidas stan smith 44” (piuttosto precisa)).

L’altro errore molto comune è quello di non tracciare gli eventi di conversione chiave (es. lead acquisite, acquisti, telefonate in ingresso) o tracciare (e spesso ottimizzare verso) solo microconversioni (es. visite lunghe sul sito web o click su pulsanti).

Mi spiego: le microconversioni sono molto utili, ma non sono vere e proprie KPI.

Faccio un esempio molto generico su una compagnia per un servizio di Taxi:

  • cliccare su un pulsante per far partire una telefonata durante una visita a un sito web è effettivamente interessante come microconversione: indica in modo relativamente affidabile un interesse nei confronti di un contatto.
  • l’utente clicca sul pulsante, parte la telefonata e riaggancia immediatamente prima che la telefonata venga effettivamente risposta dall’operatore. in quel caso per google sarebbe avvenuta una conversione, ma non avrebbe portato nessun beneficio all’inserzionista.

Google riesce ad essere uno strumento efficace per tutti i livelli di awareness e per tutti gli stadi del funnel ma è necessario passare per una raccolta e analisi sistematica dei dati, anche in prospettiva di multicanalità.

Un aspetto interessante viene da un caso che ho affrontato recentemente facendo audit a una compagnia che offre servizi ai passeggeri aerei.

Il loro form prevedeva in sostanza 4 step intermedi prima della conferma finale.

Questi 4 step erano registrati come conversioni principali e alcune campagne avevano “CPA target” o “Massimizza Conversioni” come obiettivo.

Questo dal punto di vista del Machine Learning di Google metteva allo stesso piano lo Step 1 di 5e lo Step 5 di 5, che era poi la vera e propria conversione finale – nel pratico Google ottimizzava l’offerta per una metrica molto meno efficace, deteriorando i risultati.

Tirando le somme – gli step intermedi sono estremamente importanti in ottica CRO, ma trattarli tutti allo stesso livello in presenza di strategie di offerte automatizzate significava ottimizzare per obiettivi che di fatto non lo erano.

La misurazione ‘affidabile‘ dei risultati è in effetti l’aspetto chiave, dal mio punto di vista il più interessante rispetto a questo sistema di advertising – un’opportunità straordinaria che spesso viene trascurata o sottovalutata. Dai dati di conversioni emergono anche elementi statistici – demografici, geografici ecc. – che permetterebbero anche di fare ottimizzazione ‘a grana fine‘ sulla base dei risultati effettivamente ottenuti fino a quel momento.

Porto due esempi, pratici, reali e quasi banali nella loro linearità.

Esempio 1

Recentemente prendo in carico un cliente che si occupava di gadget aziendali personalizzabili. Il core business è sulle chiavette usb personalizzate e uno dei forti differenzianti è la capacità di poter prendere in carico gestire anche ordini con un numero di pezzi estremamente piccoli.

Le campagne erano sostanzialmente ben settate, ma i costi per acquisizione stavano salendo moltissimo e si doveva tassativamente tagliare ogni singolo centesimo di spreco per poter essere sostenibili.

Analizzando i dati di conversione emergeva che quasi il 70% del traffico del budget giornaliero, quasi sistematicamente raggiunto e superato, era occupato da traffico mobile che per problemi di UX tendeva a convertire molto molto peggio di quello mobile.

In quel caso sono state fatte due cose:

  1. Per tamponare lo spreco le campagne sono state divise in desktop e mobile+tablet. Il budget desktop, non più cannibalizzato da mobile+tablet, ha iniziato a portare risultati più interessanti come volumi di conversione. Il traffico era effettivamente più caro, ma più redditizio.
  2. Ho fatto realizzare per il cliente una variante più sintetica ed efficace della pagina di atterraggio per mobile e tablet e l’ho testata contro la landing page precedente. Ha iniziato a dare indicazioni più interessanti in termini di tasso di conversione. Raccolto un buon volume di dati la nuova landing si è dimostrata più efficace nel test, quindi è stata usata nella campagna principale.

Esempio 2

Per un cliente molto grande che vende B2B e B2C pacciame di gomma (rubber mulch), utilizzato per la pavimentazione di aree gioco, maneggi ecc..

Potendo contare sui dati di un CRM (sorgente e mezzo della lead acquisita, qualità della lead, numero lead convertite in clienti, valore della prima vendita ecc.) abbiamo valutato la performance dei 50 stati rispetto a questi dati nell’aggregato di 18 mesi, valutando che in effetti alcuni di questi, indipendentemente dei dati di conversione iniziale, erano molto più redditizi sia sul primo acquisto che anche nel life-time value (LTV) (numero di ordini, rapporto preventivi generati chiusi, valore totale).

Isolando il solo traffico PPC (che non è solo nella rete di ricerca) abbiamo diviso tutte le campagne in 6 stati “Tier A”, 25 “Tier B”, 19 “Tier C” e abbiamo riallocato i budget (e ottimizzato le strategie di offerte) su queste logiche.

Dal punto di vista formale la campagna era perfetta e già sostenibile nell’aggregato – ci siamo limitati ad applicare la legge di Pareto, spremendo al massimo il 20% più efficace (anche meno, numeri alla mano) pur continuando a presidiare l’80% rimanente, con un piglio leggermente meno aggressivo.

Parlando di costi – ci sono in effetti settori e mercati estremamente competitivi (sono arrivato a pagare $70 USD un singolo click per una Law Firm in Florida – è ovviamente un caso limite) ma in quel caso bisognerebbe ragionare sulla redditività potenziale, e di alternative possibili.

Quanto ‘vale’ una lead in termini di potenziale redditività? Esistono canali di acquisizione più efficienti? In molti casi no.

Facciamo allora un passo indietro: spesso un business non sa nei fatti quantificare il valore di una lead in target (cioè un contatto valido per l’attività).

Quanto costa acquisire un cliente in media?
Quanto valore può portarci in media nella prima interazione?
Quale lifetime value porta in media?

Rispondendo a queste domande e potendo contare sui dati si può valutare molto più serenamente il costo che viene sostenuto nell’advertising, molto più efficientemente rispetto a canali di advertising tradizionale.

L’obiezione ulteriore che viene fatta rispetto ai costi di Google Ads è rispetto al costo di un consulente, e in quel caso mi piace spesso ragionare sul costo dell’inefficienza, in termini di mancato guadagno, con la medesima logica.

Una campagna mal costruita spesso ha performance ben sotto il proprio potenziale, vanificando quindi lo sforzo in termini di costi pubblicitari sostenuti.

Inefficienza per Google Ads può essere ‘macro’ (cattivo setup) o ‘micro’ (gestione del budget poco oculata), con relativa ampia gamma di grigi.

Anche in questo caso ragionerei in termini prettamente numerici:

  • Quanto può portare una campagna Google Ads in termini di business potenziale?
  • Quanto effettivamente sta funzionando rispetto alle KPI?
  • Quanto si può ottimizzare rispetto a questa attività, e in quanto tempo?

Le KPI dipendono dall’attività, dall’obiettivo e dal tipo di campagna.

Circoscrivendo a Google Ads potrebbero essere Tasso di Conversione e Costo per Conversione, ma non solo.

 

Fabio Faccin

Pay Per Click specialist @ PerformancePPCfabio@performance-ppc.com

Fabio Faccin

Diamo per scontato che per Google Ads ci riferiamo in questo caso alle campagne in Rete di Ricerca.
Ritengo “Google Ads costa troppo” sia un’accezione che non abbia molto senso.

Non ha senso perché – come per tutte le piattaforma di advertising online come possono essere Facebook, LinkedIn, Instagram – è necessario capire prima di tutto se quello è il canale adatto da usare.

Per canale adatto intendo lo strumento in cui un determinato business può trovare i propri clienti.

Se un utente dichiara “Google Ads costa troppo” i casi a mio avviso possono essere tre:

  1. Sbagliare l’analisi dei dati
  2. Non utilizzare correttamente la piattaforma
  3. Non è il canale adatto per quel business

Sbagliare l’analisi dei dati

Sicuramente in Google Ads un CPC può arrivare anche a 2-3-4€ o anche di più in certi settori (ad esempio il settore assicurativo). C’è da dire, però, che andrebbe sempre considerata la qualità di questi click.

Un click proveniente da una persona che sta cercando attivamente il servizio o il prodotto che offri potrebbe valere anche 10 volte un click proveniente da un utente che ha semplicemente visto il tuo annuncio mentre navigava in internet.

Questo significa che il tasso di conversione potrebbe essere molto più alto per i click provenienti da Google Ads e, di conseguenza, anche se paghiamo di più un singolo click, il costo per conversione finale potrebbe essere più basso.

Un modo per analizzare e confrontare la qualità del traffico proveniente dai diversi canali e dalle diverse campagne è guardare i dati di Google Analytics.

Ritengo infatti che per giudicare la bontà o meno del traffico proveniente da Google Ads, sia necessario analizzare i dati da Google Analytics e non fermarsi alla dashboard in Google Ads.

Google Analytics ti può fornire informazioni molto più approfondite sul comportamento degli utenti nel sito e sul percorso di questi versi la conversione.

Alcuni rapporti fondamentali da monitorare per giudicare l’efficacia delle campagne Google Ads sono il rapporto sulle Conversioni indirette e sul Percorso di conversione. Questi due rapporti ti permettono di capire come Google Ads ha contribuito nel percorso degli utenti verso la conversione.

Ovvero, può essere che la maggior parte delle volte Google Ads non porti ad una conversione diretta (click sull’annuncio, e conversione immediata) ma che rappresenti uno step iniziale o intermedio, che ti aiuta a far conoscere il tuo brand a potenziali utenti, che potrebbero convertire solo successivamente attraverso touch point diversi (email, Facebook, visita diretta, ecc.).

Non utilizzare correttamente la piattaforma

Oppure non essere in grado di sfruttarne tutte le potenzialità.

Di certo la nuova interfaccia e le ultime novità alla piattaforma Google Ads hanno l’obiettivo di facilitare l’utilizzo della stessa per i neofiti. Ciò nonostante, è comunque indispensabile conoscere i concetti base di funzionamento dello strumento per poter ottenere risultati soddisfacenti.

Gli ingegneri di Google Ads stanno cercando di rendere la piattaforma – all’apparenza – molto semplice, quando è ovvio che semplice non è visto che la sua funzione è quella di fornire gli annunci più pertinenti a migliaia di utenti che ogni secondo effettuano delle ricerche. Annunci creati da centinaia di inserzionisti diversi, quando lo spazio disponibile tra i primi risultati è di massimo 4 annunci. Tutto questo in tempo reale.

Mi capita ancora oggi di vedere account Google Ads con diversi errori basilari, i più frequenti sono:

  • Mancanza del tracciamento delle conversioni;
  • Parole chiave diverse aggiunte ad un unico gruppo di annunci;
  • Parole chiave a corrispondenza solo generica.

Questi “errori” dati dall’inesperienza possono portare a campagne inefficienti, e quindi all’affermazione “Google Ads costa troppo”.

Ad esempio, in questo articolo che ho scritto qualche mese fa nel mio blog, descrivo esattamente quali sono state le ottimizzazioni che ho apportato ad un account Google Ads esistente, e come queste hanno portato ad una netta inversione dei risultati.

Probabilmente prima dell’ottimizzazione anche questo mio cliente pensava “Google Ads costa troppo”.

Non è il canale adatto per quel business

Se hai analizzato correttamente i dati, hai impostato alla perfezione alle campagne, e dopo alcuni mesi di ottimizzazione (direi almeno 4-5 mesi, poi questo può variare anche in base alla stagionalità del prodotto/servizio promosso) non vedi arrivare risultati, può significare che effettivamente lo strumento Google Ads non è adatto al tuo business.

Vuoi perché operi in un settore molto competitivo e il tuo brand non è ancora forte, vuoi perché il tuo pubblico target lo puoi intercettare più facilmente in altri canali.

 

Michela Locatelli

Consulente PPC (Ex-dipendente Google) // Profilo LinkedINmichela.locatelli@gmail.com

Michela Locatelli

Probabilmente perchè, se lo stanno facendo, lo stanno facendo nel modo sbagliato.

Google Ads è cambiato molto rispetto a 5, 6, 7 anni fa. Non basta più inserire una manciata di keyword e fare un annuncio approssimativo.

Prima poteva anche bastare perchè la competizione era bassa e il livello di complessità interna dello strumento non richiedeva tutta una serie di strategie e azioni precise per farlo funzionare al meglio.

La costruzione della campagna e la suddivisione in gruppi di keyword omogenee ad esempio è ancora la base per partire con una campagna performante, ma non basta.

Bisogna inserire le estensioni, sapere come usarle, accoppiare una campagna sulla Rete di Ricerca ad una di annunci dinamici (DSA), scrivere annunci efficaci, creare liste di interessi per catturare un target più preciso, conoscere tutta la reportistica a disposizione per poter ottimizzare giornalmente le campagne.

Google Ads insomma, e’ diventato molto più complesso da gestire e, anche se la logica di base: parola chiave-annuncio-landing page è rimasta la stessa, tutto quello che c’è intorno è cambiato e si è arricchito moltissimo.

Ad esempio lo smart bidding è ormai una prassi comune per le campagne a conversione ma se non si è impostata bene una campagna alla base, si rischia di fare molto peggio o di non avere risultati usando le automazioni.

Oppure capita che qualche cliente voglia raggiungere più obiettivi con la stessa campagna e allora è come avere una coperta corta che ovunque la tiri non coprirà comunque tutto e alla fine il cliente sarà insoddisfatto.

Anche il budget deve essere adeguato e soprattutto, Google Ads va testato continuamente, solo così si può continuare a migliorare, grazie all’esperienza e alla conoscenza.

 

Gabriele Contilli

President & Co-Founder @ ROCKET PPCgabriele@rocketppc.it

Gabriele Contilli

A mio avviso l’obiezione ha radici piuttosto vecchie, quando ancora aveva senso (se mai ne abbia avuto) parlare di Search Engine Optimization) SEO e Search Engine Marketing (SEA) come di due attività separate.

Qualunque azione di ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO) è sempre stata vista – erroneamente – come un’attività “a costo zero” o che, ammortizzati i costi iniziali, avrebbe potuto garantire traffico e profitti in maniera continuativa nel tempo senza investire un centesimo in più.

Se paragoniamo questa convinzione con un investimento in Google Ads, è ovvio che il secondo risulterà sempre troppo costoso.

Mi spiace ma purtroppo di “gratis” online c’è rimasto davvero poco, e la SEO rischia anche di diventare più esosa di un’attività PPC se iniziamo a sommare i costi di consulenza, link building, creazione contenuti, ecc… con il fatto che non possono esserci reali garanzie di successo.

Ho visto contratti di consulenza SEO, privi di alcuna garanzia di risultato (ovviamente), da oltre €80.000/anno… soldi che se investiti in Google Ads avrebbero potuto invece portare dei risultati diretti e concreti e in qualche modo prevedibili.

Sfruttando i canali di advertising, infatti, si possono fare stime anticipate di traffico, transazioni o leads e quindi di fatturato atteso: tutti dati che un imprenditore o un responsabile marketing hanno a cuore e che sono più significativi di altri.

Senza considerare, inoltre, che l’investimento in Google Ads può essere “cucito” sul Cliente e modulabile in maniera incrementale, potendo anche ridurlo in termini rapidi se ci fossero problemi o contingenze specifiche.

Ovviamente c’è da fare una valutazione preventiva se Google Ads sia un canale utile ai fini del Cliente ma, numeri alla mano, il fatto di poter elaborare dei modelli previsionali di ritorno atteso sull’investimento è qualcosa che, ad oggi, rende Google Ads lo strumento principe – a mio avviso – di qualunque strategia digital.

Costruire dei modelli previsionali, partendo dai dati di Google Ads, è piuttosto facile. Analizzando i volumi di ricerca mensili di un numero sufficientemente ampio di keywords (500-1.000), stimandone un CTR “medio” e un CPC ponderato (tra valori max e min), si può avere un dato abbastanza accurato di traffico mensile e budget advertising.

Per completare il modello, poi, è necessario aggiungere a questa prima fase di analisi dei dati di conversione, possibilmente storici, estratti dai dati Google Analytics del Cliente.

Se parliamo di un ecommerce, ad esempio, è sufficiente recuperare il Conversion Rate medio e il dato di Scontrino medio per avere una previsione di fatturato (diretto) atteso dalle campagne e quindi un ROAS.

Se parliamo di attività di lead generation, invece, si può ipotizzare un Conversion Rate tra il 2% e il 5% (compilazione del form) e un tasso di chiusura atteso che, di solito, un cliente condivide volentieri se è chiaro l’obiettivo comune di massimizzare il ritorno sull’investimento.

Chiaramente mi riferisco principalmente a campagne a performance, ma di solito è sufficiente parlare con i numeri per dimostrare che si tratta di un investimento che può “garantire” un ritorno sensato e aiutare le aziende nella crescita. Ovviamente poi le campagne devono essere impostate correttamente e costantemente ottimizzate per raggiungere e, si spera, superare gli obiettivi condivisi con il Cliente.

Gli errori più comuni che notiamo costantemente nella gestione delle campagne da parte di altri consulenti o agenzie sono questi:

  • Avere un PPC Mix piuttosto esiguo (di solito solo campagne a performance su Google Ads) mentre oggi è indubbio che il customer journey sia più intricato che mai e quindi è necessario cercare di intercettare il nostro target il più frequentemente possibile su più piattaforme possibili (questo non alza necessariamente i costi, ma di solito crea sinergia tra i vari canali e migliora le performance complessive). Un esempio è il caso di Comet.it che abbiamo presentato al Web Marketing Festival 2019 (Black Friday 2018 vs 2017: stesso budget adv, ma con un PPC Mix più variegato e un +104% di fatturato);
  • Non essere mai granulari nei setup, creando poche campagne e molto generiche. È un modo di lavorare veloce ma che rende impossibile la vera ottimizzazione dei risultati, perché da poco spazio di manovra in fase di ottimizzazione;
  • Affidarsi al “machine learning” senza realmente capirlo. Oggi i principali strumenti di adv (Google, Facebook e Criteo) si reggono molto sull’abilità della macchina di “capire” che risultati vogliamo e aiutarci a raggiungerli. Spesso però i dati che gli vengono dati in pasto sono imprecisi e, specialmente in caso di lead generation, di scarso valore. Bisogna essere invece in grado di capire chi sia davvero il nostro target, aiutare le piattaforme di adv a raccogliere solo il tipo di dati che ci interessa (in modo che possano capire il pubblico reale) e poi ottimizzare, supportati dal machine learning, solo quando abbiamo dati statisticamente rilevanti per farlo

 

Andrea Libertone

Google AdWords Consultant @ Andrea Libertoneinfo@andrealibertone.com

Andrea Libertone

Qualche volta mi capita di parlare con qualcuno che mi dice che Google ADS costa troppo. In alcuni mercati il costo medio per click di Google ADS è, in effetti, crescente e se non sai come affrontare questa situazione rischi di rimanere deluso delle perfomance di questa piattaforma di advertising.

Ormai Google ADS esiste da tempo, i principali motivi di incremento dei CPC credo che siano da ricercare da un lato nel fatto che sempre più aziende investono online e in PPC (e quindi abbiamo la crescente presenza di un maggior numero di inserzionisti) e dall’altro lato nella competenze sviluppate da quelli che sono sulla piattaforma da anni e che quindi hanno imparato ad affinare tecniche e strategie.

Abbiamo da un lato advertiser sempre più esperti e dall’altro quelli inesperti che approcciano a questo strumento in un momento di forte cambiamento (rebranding, cambio totale della piattaforma, aggiunta di nuove funzionalità ed eliminazione di altre, inserimento sempre maggiore del machine learning ecc…).

Poi se ci mettiamo che in alcuni settori ci sono anche i portali specializzati (in primis mi vengono in mente quelli di generazione di preventivi) o i grossi player come Amazon che presidiano in modo massiccio SEO e PPC e hanno brand ingombranti, i piccoli inserzionisti possono essere tentati di darsela a gambe.

Ma si può lavorare bene e comunque anche contro questi giganti con il giusto approccio e la giusta visione.

Immagina una impresa edile che “dipende” dai portali di preventivi e che viene messa a confronto dal cliente finale con altre 3 o 4 imprese e immagina una che invece crea una sua strategia, un suo modo di comunicare e mettere in risalto la sua unicità.

Ho lavorato con diverse imprese edili negli ultimi anni e devo dire che il secondo approccio ha funzionato molto bene.

Per tornare al costo per click: alcuni clienti che prima di venire da me si cimentano con strategie di offerta automatiche hanno dei CPC altissimi, in alcuni casi, rispetto alla strategia di offerta manuale e quando se ne accorgono chiedono aiuto. In una situazione simile se i costi aumento, i margini si riducono e se non si ha una buona conoscenza di Google Ads i risultati non arrivano. Un nuovo inserzionista potrebbe davvero sentirsi scoraggiato nei confronti di questa piattaforma che per quanto provino a semplificare rimane comunque complessa.

Altri account che prendo in gestione, invece, non hanno settato i tracciamenti delle conversioni (ed ho la sensazione che per fortuna siano sempre di meno).

Così un imprenditore fa davvero fatica a capire quanti lead o vendite ha ottenuto e se va a ROI oppure no. Questo è il primo step prima di avviare una campagna: installare i tracciamenti delle conversioni perché senza è difficile dire se un’azione di marketing è efficace oppure no.

Quindi più che concentrarsi sul costo per click, dopo aver installato i dovuti tracciamenti, bisognerebbe concentrarsi sul costo per conversione. Già qui la prospettiva cambia. Ora non non si discute più di quanto costa un click, ma di quanto costa una conversione (acquisto o richiesta di preventivo ad esempio).

Anche se… a volte ho trovato clienti che si concentrano troppo sul costo per conversione senza stimare il valore del cliente dal giorno zero a 3, 6 mesi o un anno ignorando il valore di un cliente acquisito oggi ma che fa acquisti ripetuti durante l’anno oppure a cui si può fare upsell.

Inoltre, credo che sia (e sarà) sempre più consigliato avere un approccio strategico di online marketing che vada anche oltre Google Ads stesso o di qualsiasi altra piattaforma, altrimenti si può fare fatica ad avere dei risultati soddisfacenti.

Quindi oltre a scegliere le keyword o i pubblici giusti, impostare una giusta strategia di offerta, strutturare le campagne in modo impeccabile, monitorare, ottimizzare e sperimentare costantemente è necessario alzare la testa dal pannello di Google ADS e ragionare alcuni aspetti:

  • Vendi ad un giusto prezzo?
  • Il tuo business ha motivo di esistere e di funzionare bene?
  • Ha una sua unicità? (e quante volte gli imprenditori non hanno idea di quale possa essere…)
  • Hai ragionato sul processo di acquisto?
  • La tua landing è strutturata in modo efficace?

Un approccio strategico di questo tipo può davvero fare la differenza tra campagne che funzionano bene e altre che vanno male.

 

Claudio Caputi

Account Manager @ Sembox – Digital Marketing Agencyclaudiogiuseppecaputi@gmail.com

Claudio Caputi

Non so quanto possa esser diffusa questa concezione ma sicuramente sono in disaccordo.

Innanzitutto, quando si decide di avvicinarsi a Google Ads bisogna sempre farlo con l’obiettivo e la consapevolezza di fare un investimento per il proprio business, di avere un’opportunità che, se ben sfruttata, può rivelarsi davvero preziosa.

Parlo di investimento perché l’obiettivo ultimo è quello di migliorarsi, di impiegare tempo e risorse monetarie nell’ottica di una crescita progressiva.

L’investimento su questo tipo di campagne a volte può essere la prima finestra verso il mondo del marketing digitale, può servire a fare appunto da apripista per altre attività e capire se si hanno margini di miglioramento.

Il digitale ha le potenzialità per supportare al meglio qualsiasi tipo di business tanto online quanto offline.

A farla breve, stiamo parlando di uno strumento che ci permette di portare valore aggiunto al nostro business, motivo per il quale non dobbiamo vederlo come una mera spesa. Considerarlo già in partenza un costo significa che si sta sbagliando fin dall’inizio l’approccio corretto.

Aggiungo, se lo si considera un investimento, bisogna anche aver ben chiaro a mente che per ottenere un buon risultato è giusto affidarsi a professionisti del settore.

L’investimento più che di denaro sta anche nel saper scegliere le persone giuste. Quando parliamo digital marketing è facile trovare tuttofare che spesso si improvvisano senza aver nessuna esperienza di base. Ci si sente facilmente legittimati a credere che non sia poi così difficile e che sia addirittura semplice.

Se ci sono figure professionali specializzate su questo canale specifico, allora significa che lo strumento può raggiungere un’elevata complessità che richiede competenze adeguate.

E’ bene affidare l’investimento economico a chi riesce poi ad impiegarlo nel migliore dei modi.

Con quanto detto sopra non voglio puntare il dito contro chi effettivamente vuole rimboccarsi le maniche per la sua attività e capirci un pò di più, anzi sto dicendo che se si ha una prospettiva di crescita chiara, allora è bene che alle spalle ci sia chi riesce a supportarlo nella giusta maniera.

Tra gli errori da evitare assolutamente e che ahimè ancora si commettono, al primo posto metterei quello di iniziare ad impiegare budget senza aver correttamente impostato gli obiettivi di conversione e senza avere un chiaro monitoraggio delle azioni e degli eventi più importanti per il tipo di business di riferimento.

Questa considerazione vale a livello generale, sugli errori di campagna ne indico alcuni:

  • Keywords con tipo di corrispondenze troppo generica che portano ad avere un numero elevatissimo di impressions e di clic ma che generano alla fine poche conversioni. A questo si aggiunge il mancato o insufficiente uso delle keyword negative, per limitare correttamente la pubblicazione dei nostri annunci alle sole query di ricerca in target con i nostri obiettivi.
  • Altro errore da non fare è quello di sottovalutare l’importanza delle estensioni degli annunci; se utilizzate bene, queste estensioni possono aggiungere importanti incentivi per gli utenti e portare ad un aumento del CTR (percentuale di clic) autorevolezza percepita e conversioni finali.
  • Non monitorare ed apportare le giuste correzioni sulla base delle diverse performance registrate su diversi device, su diverse countries o regioni o sui diversi segmenti di pubblico.
  • Sulle campagne display, non monitorare il posizionamento dei nostri banner/annunci; il più delle volte il budget viene sprecato perché paghiamo i clic che provengono da tap involontari mentre si sta giocando o utilizzando un app sullo smartphone.

Altra considerazione non scontata da rimarcare è che Google Ads, seppur in continua evoluzione, resta uno strumento, un mezzo che ci permette di attuare o integrare un’insieme di più attività su diversi canali, online ed offline, che non porterà risultati se non inserito in una pianificazione ben definita.

Infatti, se preventivamente non c’è stata una chiara strategia, un’attenta analisi del mercato, una corretta individuazione delle buyer personas di riferimento e di come correttamente proporsi a quest’ultime, si rischia effettivamente di spendere il budget a disposizione senza aver neppure un minimo ritorno sulla spesa.

Chiariti questi punti si possono poi definire di comune accordo gli obiettivi di campagna da raggiungere, come monitorarli e valutarli.

Come già detto sopra, l’idea di business deve essere ben chiara fin dall’inizio e deve strategicamente coordinare le diverse attività che si intendono attivare. Successivamente, si può presentare o definire insieme una strategia operativa da applicare sul canale.

La prima fase di start up è messa online delle campagne è sicuramente importante, ma a questa seguirà il controllo continuo dei risultati e degli indicatori di performance i cc.dd. KPI’s.

L’approccio da seguire è quello che mira ad un approccio data driven; il costante e corretto monitoraggio dei dati acquisiti e lo studio di essi sono elementi essenziali per poter apportare le modifiche necessarie a migliorare le performance e conseguire risultati in costante miglioramento.

Per capire cosa monitorare è bene definire qual è l’obiettivo di campagna.

Vogliamo che per determinate keyword il nostro brand compaia il più possibile?
Presidiamo la SERP in modo che il nostro annuncio compaia per un numero percentuale di volte quanto più prossimo al 100%.

Abbiamo esigenze di lead generation?
Decidiamo di impostare una campagna con un target di costo per acquisizione ben definito. Ad esempio posso decidere di acquisire contatti ad un costo per singolo lead non superiore a X euro.

Dobbiamo aumentare il numero di transazioni su ecommerce?
Definiamo una strategia che si basa sul ROAS o ritorno sull’investimento pubblicitario.

Ogni singolo obiettivo di campagna comporta una diversa valutazione degli indicatori da considerare.

Parliamo di KPI tecnici quando ci riferiamo a quelli strettamente correlati alle performance della campagna e sono ad esempio il numero di Clic, il CTR, la frequenza di rimbalzo, l’impression share, il punteggio di qualità degli annunci etc.

Questi sono indicatori che ci permettono di capire quali correttivi apportare in corso d’opera, se ci sono margini di miglioramento e dove agire sulle singole campagne.

Ci sono poi i KPI strategici che sono quindi quelli che ci fanno capire se effettivamente ci stiamo guadagnando o perdendo.

Questo sono ad esempio: numero di conversioni, tasso di conversione, costo per singolo lead o acquisto, la percentuale di ritorno sull’investimento totale o sulla spesa pubblicitaria.

Quindi, i KPI strategici sono gli indicatori finali, sono quelli che alla fine contano e sono strettamente collegati agli obiettivi di campagna che abbiamo visto poche righe sopra. Possiamo avere KPI tecnici ottimi ma se non generiamo conversioni allora l’investimento può diventare insostenibile.

Concludendo, se usato nel giusto modo e se inserito all’interno di una strategia che utilizza sinergicamente diversi canali, le opportunità che questo strumento pubblicitario ci mette a disposizione sono molteplici e sono adatte a tantissimi tipi di business, per non dire a tutti, che si tratti di aumentare la visibilità di un brand su specifici siti, di intercettare una domanda consapevole sul motore di ricerca o di incrementare le vendite di un ecommerce.

 

Daniele Tassini

Consulente PPC // Profilo LinkedINdanieletassini@gmail.com

Daniele Tassini

Google Ads è molto cambiato in questi ultimi anni, non parlo solamente del nome (prima era Google AdWords). A mio modesto parere, mi sento di dire che sempre più imprese presidiano sempre di più i risultati a pagamento, inoltre, i professionisti/agenzie che offrono questo tipo di servizio aumentano vertiginosamente. Più il mercato è competitivo e più i costi inevitabilmente aumentano.

Per come la penso io, Google ragiona quasi in termini di Monopolio, nel mercato italiano, basti pensare che Bing ha una quota di mercato dell’8%.

Ti porto come esempio un cliente che lavora nel settore turistico.

Confronto Maggio 2018 com Maggio 2019, il cost-per-click (CPC) medio è cresciuto dello +14%. Questo mi fa pensare che se io inserzionista voglio raggiungere un risultato simile negli anni avvenire dovrò supportare un effort maggiore. Anche perché, nell’area salentina il numero di strutture ricettive aumenta di anno in anno, ergo più competitività.
Questo di potrebbe tradurre in aumento dei costi che il cliente deve sostenere, e una maggiore pressione, attenzione da parte del professionista che gestisce l’account.

Certo se facciamo un confronto con Google di 10 anni fa, forse queste mie umili affermazioni possono avere un fondo di verità.

Stabilire prima una strategia solida, successivamente si ragiona come strutturare correttamente una campagna Google Ads. Faccio riferimento all’inserimento delle estensioni, trovare i corretti segmenti di pubblico, impostare e importare le micro e macro conversioni e la scelta dei più corretti modelli di attribuzione, attivare il remarketing.

Per me una strategia è solida quando nulla viene lasciato al caso.

Ad esempio: creare una campagna brand può aiutare a capire ancora meglio come sta crescendo il nome dell’azienda nel tempo. Oppure, cercare di sfruttare i posizionamenti considerati “marginali” (passami il termine) che Google offre, vedi la Gmail.

Ma prima ancora, capire chi sono le persone che possono essere interessato al prodotto o servizio.

Dopo aver ragionato in questi termini, si passa all’aspetto operativo ovvero quello di realizzare le campagne, e fare in modo che nel lungo periodo esse stesse saranno scalabili.

Un cliente che seguo personalmente ha una struttura ricettiva in Salento, ad inizio Giugno ci chiama perché la sua struttura era andata in overbooking. Sapendo che il mese di Maggio è stato un periodo abbastanza nero per gli albergatori e non solo, complice il mal tempo, è riuscito comunque a raggiungere il suo obiettivo.

Per dare qualche numero indicativo, da pannello Google Ads conteggiavo circa 50 conversioni di Richiesta informazioni per le Strutture, il costo a conversione sotto ai 10 euro, con una spesa di 400 euro mese. Posizione media 2.5 a dimostrazione che non sempre è necessario stare in prima posizione.

Un grande elemento che ha fatto la differenza è stato il brand, questa strutture ha una ottima reputazione online e offline e questo avrà sicuramente influito sul raggiungimento dell’obiettivo. Google Ads deve essere sempre visto come uno strumento a supporto delle aziende. Non come la panacea che cura tutta i mali.

Il cliente ha dalla sua parte una grande storicità, basti pensare che fa campagne dal lontano 2012, quindi ha una base di dati molto solida. Sappiamo tutti che più Google ha informazioni e più le campagne possono girare al meglio. In aggiunta, il sito è sicuramente molto curato, ha una UX semplice ed intuitiva, infine, gode di feedback positivi.

Questo insieme stanno garantendo al cliente una buona considerazione sia online che offline.

Come dicevo prima è il brand che aiuta a vendere, gli strumenti di web marketing sono solo di supporto. Questo vale per Google Ads, Facebook, Instagram etc..

 

Conclusione

Abbiamo visto insieme l’opinione di 7 esperti di Google advertising e più in generale di campagne PPC.

Ognuno ha voluto sottolineare e approfondire aspetti diversi, anche portando casi reali dalla propria esperienza (adoro leggerli!).

Voglio chiudere riassumendo tre punti importantissimi che ho imparato:

  1. Google Ads è uno strumento complesso, dove l’intervento di uno specialista si ripaga da solo. L’ho sperimentato personalmente, come ho raccontato all’inizio di questo articolo.
  2. Google Ads permette di portare sul tuo sito potenziali clienti (lead), ma per convertirli in clienti serve altro (landing page efficaci, copy chiaro, testimonial, etc.).
  3. Google Ads deve essere necessariamente inserito in una strategia di business più ampia. Se è vero che ‘la pubblicità è l’anima del commercio’ come si dice, non basta investire in pubblicità per avere un business funzionante!

 

E tu? Hai già investito in Google Ads o stai valutando di farlo?
Qual è la tua esperienza a riguardo?

Daniele Besana

Fondatore di WP-OK e imprenditore digitale. Racconto il mio viaggio imprenditoriale nel podcast Diario Di Due Imprenditori Digitali.

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